La Tata e il Papà Alfa

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Capitolo 4

Moana

Arrivai all'indirizzo della villa un paio d'ore dopo, sfoggiando un completo nuovo di zecca. Nel tempo trascorso tra la telefonata e l'arrivo, avevo preso la mia carta di credito, che usavo solo per le emergenze, e ero uscita a comprare qualcosa di nuovo per impressionare la famiglia. Si trattava solo di una camicia leggera a bottoni, pantaloni sartoriali e mocassini, ma quando mi trovai davanti all'imponente villa in montagna e notai la fila di donne all'ingresso, mi rallegrai della mia scelta. Mi accertai che le etichette fossero ben nascoste: le avevo lasciate apposta, nel caso non avessi ottenuto il lavoro e avessi dovuto restituire tutto.

Mentre parcheggiavo e camminavo lungo il vialetto verso l'ingresso principale, mi misi in fila con il mio curriculum in mano e il cuore iniziò a battere forte.

Il battito del mio cuore accelerò ancora quando mi resi conto che non solo le donne entravano nella villa, ma ne uscivano anche con volti tristi e sconfitti. Una ragazza, molto graziosa e forse più giovane di me, aveva addirittura le guance solcate dalle lacrime mentre stringeva tra le mani il curriculum ormai spiegazzato.

Il datore di lavoro era davvero così terribile da ridurre in lacrime queste povere donne durante i colloqui?

A mano a mano che la fila si accorciava e mi avvicinavo all'ingresso, sentii un nodo stringermi la gola. L'interno della villa era di una bellezza sorprendente, con boiserie scure in stile Tudor e pavimenti di legno che scricchiolavano sotto i passi. Nell'atrio principale troneggiava una monumentale scala doppia: le donne vi salivano da un lato, piene di speranza ed entusiasmo, e ne scendevano dall'altro, sconfitte dopo il colloquio.

"Nome?" chiese una voce femminile davanti a me. Alzai lo sguardo e vidi una donna anziana, i capelli grigi raccolti in uno chignon tiratissimo. Indossava un abito blu scuro dal colletto alto, abbottonato fino all'ultimo bottone, e sopra un grembiule grigio, perfettamente stirato. Inutile dire che, mentre mi fissava con le labbra sottili serrate in una linea dura, mi sentii subito a disagio.

"Moana Fowler," risposi, sentendo la voce incrinarsi leggermente per la tensione.

La donna borbottò qualcosa tra sé e sé, poi controllò il blocco note che teneva in mano e spuntò il mio nome.

"Sei umana?" domandò, rivolgendomi uno sguardo quasi disgustato. Annuii. "Bene. Accomodati."

Mi avvicinai all'area dove le altre donne erano sedute e mi sistemai in una poltrona di velluto in un angolo, sedendomi in silenzio a riflettere sulle possibili risposte alle domande del colloquio.

Il filo dei miei pensieri fu interrotto pochi minuti dopo da una donna anziana che scese precipitosamente le scale, in preda all'isteria. "È un piccolo mostro!" esclamò, con le lacrime che le rigavano il volto segnato dal tempo. "In tutti i miei anni da governante, non ho mai — e dico mai — incontrato una creatura tanto crudele."

La stanza piombò nel silenzio mentre la donna usciva decisa, seguita da alcune altre che evidentemente avevano deciso che qualsiasi cosa le attendesse al piano di sopra non ne valesse la pena. Io, insieme a poche altre, decisi di rischiare; avevo davvero bisogno di quel lavoro, a prescindere dal comportamento del bambino. I bambini dell'orfanotrofio dove facevo volontariato mi adoravano, persino i più difficili, e ero sicura che anche di questo bambino avrei saputo scoprire il lato migliore.

Rimasi lì per ore ad aspettare il mio turno, e alla fine, mentre il sole tramontava e mi sprofondavo nella poltrona di velluto, mi ritrovai senza volerlo a sonnecchiare. La serata trascorsa con il signor Edrick Morgan mi aveva lasciata più esausta di quanto volessi ammettere.

"Moana Fowler."

Sobbalzai, risvegliata di colpo dalla voce severa della donna che chiamava il mio nome; alzai lo sguardo e la vidi in piedi davanti a me.

"Oh! Mi scusi," dissi, raddrizzandomi e asciugandomi nervosamente un filo di bava dall'angolo della bocca con il dorso della mano. "È il mio turno?" Mi guardai intorno e notai che la sala d'attesa era ormai deserta.

"Puoi andare," disse la donna con tono severo, allontanandosi e indicando la porta.

"Ma... non ho ancora fatto il colloquio," protestai, alzandomi di scatto con il curriculum stretto in mano. "Mi scusi se mi sono addormentata, ma sono passate ore..."

"La signora non desidera vedere altri candidati," mi interruppe. "Soprattutto non ragazze giovani e graziose come te."

Sentii il cuore precipitare nello stomaco mentre scuotevo la testa con decisione.

"No," implorai. "Per favore, lasciatemi incontrare la signora. Vi prometto che non ve ne pentirete, se mi darete una possibilità."

La donna mi fissò per alcuni interminabili istanti, poi sospirò. "Va bene," disse, voltandosi e iniziando a salire le scale. "Ma non dite che non vi avevo avvertita."

La seguii, il cuore in gola, su per le scale. Mi guidò in silenzio lungo un ampio corridoio fiancheggiato da porte di legno massiccio, ornate e imponenti. Finalmente si fermò davanti a una porta in fondo al corridoio. La aprì e mi fece entrare senza una parola.

"Vi ho detto che sono stanca!" ringhiò una vocina da dietro una poltrona dall'alto schienale rivolta verso il camino spento. "Non voglio vedere nessun altro!"

"Beh, invece io vorrei vederti," dissi piano, avvicinandomi alla poltrona.

Una piccola testa di capelli biondi sbucò da dietro la poltrona e mi fissò, valutandomi, per diversi momenti mentre stavo in mezzo alla stanza. All'improvviso, come se il mio aspetto non fosse di suo gradimento, la bambina balzò fuori dal suo nascondiglio e corse verso di me, il visetto contratto in una smorfia furiosa e le zanne da lupo mannaro ben in vista. Tra la massa di capelli biondi arruffati spuntavano due piccole orecchie appuntite su entrambi i lati della testa, che si agitavano all'indietro in modo aggressivo.

Rimasi immobile e fissai quella piccola furia, che sembrava infuriarsi ancora di più mentre ignoravo i suoi scatti rabbiosi.

"Perché non scappate come gli altri?!" gridò, la sua voce acuta trasformandosi in uno strillo.

Mi inginocchiai per guardarla negli occhi. I capelli le ricadevano sugli occhi. Allungai piano una mano per scostarli; lei sobbalzò, ringhiando e mostrando i denti, ma alla fine mi lasciò fare, rivelando due occhi azzurri che brillavano.

"Sei molto carina," dissi dolcemente, osservando attentamente mentre le orecchie della bambina si raddrizzavano e le sue labbra si chiudevano lentamente. "Come ti chiami?"

Esitò, fissando il pavimento, e quando parlò teneva ancora la testa china. "Ella."

"Piacere di conoscerti, Ella," dissi. "Mi chiamo Moana. Posso chiederti perché vuoi spaventarmi via?"

"Il mio papà è bello e ricco," mormorò ora, quasi sottovoce. "Tutte le giovani e belle ragazze come te vogliono solo lavorare per lui così possono sposarlo e prendere i suoi soldi. Nessuno vuole restare qui per me. L'avevo detto alla signora Selina che non volevo vedere nessun altro, ma lei ha portato te lo stesso."

Mi fermai per un momento, sentendo le lacrime pungermi gli occhi alle parole della bambina.

"Sai," dissi piano, tendendo la mano con il palmo in su e sentendo una stretta allo stomaco quando Ella sfiorò le mie dita, "anch'io ero orfana alla tua età. So cosa vuol dire sentirsi soli."

"Davvero?" disse Ella, guardandomi con meraviglia sul viso. "Non sei qui per portarmi via il papà, vero?"

Scossi la testa, trattenendo una risata al pensiero di quanto sarebbe stato assurdo che un ricco Alfa lupo mannaro si interessasse a me, una semplice umana.

"No," dissi gentilmente. "Sono qui per te."

Io ed Ella sollevammo lo sguardo insieme quando sentimmo la porta scricchiolare aprendosi. Mi voltai, ancora inginocchiata, per vedere la donna di prima sulla soglia. "È ora di andare a letto, Ella," disse, stringendo le mani davanti a sé.

"Voglio questa," disse Ella, passando allegra accanto a me e saltellando fuori dalla stanza come se non mi avesse appena minacciato di mordermi.

La donna anziana — Selina, come avevo appreso — mi lanciò uno sguardo incredulo, socchiudendo gli occhi per valutarmi.

"Hmph," mormorò a bassa voce, quando Ella fu fuori portata d'orecchio. "Cosa hai fatto per farti scegliere?"

Feci spallucce. "Trovare un terreno comune è molto importante," dissi, seguendo Selina fuori.

Quando arrivammo al piano di sotto, Selina aprì la porta d'ingresso per farmi uscire. "Abbiamo il tuo indirizzo nei nostri archivi, e una macchina ti aspetterà la mattina presto per portarti a firmare il contratto e iniziare il tuo primo giorno. Sii pronta alle sei in punto, e non un momento dopo."

Sorrisi, annuii e passai accanto a Selina sentendomi più leggera nonostante il suo tono brusco, poi mi fermai e mi voltai verso di lei. "A proposito, come si chiama il padre?" chiesi.

Selina serrò le labbra e mi fissò fredda. "Avrai tutti i dettagli dopo aver firmato il contratto," disse, chiudendomi la porta in faccia e lasciandomi sola sull'uscio.

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